L’evoluzione della struttura distributiva non alimentare

L’evoluzione della struttura distributiva non alimentare

Lo scorso 4 luglio sono stati presentati al Piccolo Teatro Grassi di Milano i risultati dell’edizione 2017 dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy che raccoglie informazioni su 13 comparti: mobili e arredamento, abbigliamento e calzature, bricolage, cartoleria, edutainment, casalinghi, elettronica di consumo, prodotti di profumeria, prodotti per automedicazione, giocattoli, gioielli e orologi, prodotti di ottica, tessile. L’Osservatorio viene aggiornato annualmente coinvolgendo partner riconosciuti come TradeLab e GfK per l’elaborazione dei risultati finali che si basano sui dati rilevati dalle più note e affidabili fonti informative (Istat, Iri, Sita, GfK). Focalizziamo la nostra attenzione sui dati emersi in relazione alle Grandi Superfici Specializzate che nel 2016 hanno raggiunto una numerica di circa 30 mila punti vendita. Una realtà in crescita del 5,7% rispetto al 2007, di cui ci sembra interessante conoscere le caratteristiche e la dinamica.


Le Grandi Superfici Specializzate

La crescita delle Grandi Superfici Specializzate è frutto della dialettica tra la spinta alle nuove aperture del primo quinquennio e il processo di razionalizzazione della rete registrato tra 2011 e 2016. In particolare, il percorso delle catene nell’arco dell’ultimo decennio è stato più netto in termini di quote di mercato, seppur con una minore intensità negli ultimi anni, conquistando o rafforzando la leadership in buona parte dei comparti Non Food, quali abbigliamento e calzature, articoli per lo sport ed elettrodomestici. Più faticosa la conquista della leadership in altri settori, come bricolage, mobili e ottica, dove la distribuzione tradizionale resta radicata.

Le Grandi Superfici Specializzate hanno quote importanti e in crescita nei comparti Information Technology (dove sono passate dal 23,2% al 29,8% nel decennio) e telefonia (dal 32,0% al 37,4%), ma negli ultimi anni il trend si è invertito a causa dell’impatto dell’e-commerce e dell’ingresso delle compagnie telefoniche tra i retailer fisici.

Nel Non Food sembra essere sempre meno rilevante il ruolo degli ipermercati, che in genere hanno sofferto gli effetti della crisi economica. Lo si legge soprattutto nel mercato dei piccoli elettrodomestici, dove la diffusione delle catene di elettronica, l’ampliamento delle proposte anche in altre superfici despecializzate (come i mercatoni) e l’avvento dell’e-commerce hanno stretto gli ipermercati in una morsa da cui non riescono ad uscire.


Si afferma il valore della “polarità commerciale”

Nell’attuale panorama distributivo, le performance economiche di un’impresa della distribuzione moderna Non Food non dipendono soltanto dalla capacità di attrazione commerciale della singola insegna, ma anche da quella complessiva del “contenitore” in cui è inserita e a cui contribuisce.

È il concetto di “polarità commerciale”, intesa come luogo di aggregazione delle realtà distributive con proposte di assortimento e servizi molto differenti e sempre più differenzianti (tenant mix).

I dati dell’ultimo decennio dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy confermano queste dinamiche, rilevando quanto progressivamente le insegne Non Food si siano concentrate in specifici contenitori commerciali e abbiano ridotto notevolmente la presenza nei centri urbani e soprattutto nelle aree periferiche delle grandi città e dei maggiori paesi, che non hanno la capacità di attrarre importanti flussi di clientela. A fine 2016 solo il 6,7% della rete moderna Non Food è ancora localizzata in aree periferiche rispetto all’11,4% del 2007.

Se le aree centrali (centri storici e vie principali) restano i luoghi dove si concentra la gran parte della rete, comunque il loro appeal è in calo (46,6% rispetto al 54,9% di 10 anni fa). Trend opposto per le polarità commerciali (centri commerciali, parchi commerciali, factory outlet e altri poli), che oggi assommano il 46,7% dei punti vendita della distribuzione moderna non alimentare, specializzata e non, grazie a un’avanzata del 13% rispetto al 2007.


I centri commerciali

I centri commerciali in dieci anni sono aumentati dell’11,3%, raggiungendo le 1.038 unità, e il loro peso sulla numerica della rete si avvicina progressivamente a quello delle aree urbane centrali (36,8% rispetto al 30,0% del 2007).

«A differenza del commercio urbano, i centri commerciali hanno cercato di superare gli effetti della crisi rivedendo il proprio posizionamento, aggiungendo alla tradizionale offerta di punti vendita (tra cui si inseriscono anche insegne straniere con una forte brand awareness) anche ristorazione, intrattenimento, servizi sanitari e nuove esperienze per il tempo libero, dando così vita a contenitori di nuova generazione» aggiunge Luca Zanderighi, fondatore e partner di TradeLab. «Il riposizionamento dei principali centri commerciali sarà la sfida anche per i prossimi anni».

Pur non presentando i numeri dei centri commerciali, anche i factory outlet center proseguono nel proprio percorso di crescita, sia numerica (nel 2016 erano 27, ossia 8 in più rispetto al 2007), sia in termini di superficie commerciale (25,6 mila mq contro i 21,2 del 2007) e di numero di negozi (108 in media, 10 in più rispetto al 2007).

Un altro fenomeno che ha contrassegnato l’ultimo decennio è il progressivo sviluppo di reti di vendita nei principali luoghi di traffico, come stazioni ferroviarie e aeroporti. Consistenti gli investimenti effettuati e molte le insegne che cercano spazi interessanti nei luoghi di arrivo e partenza di migliaia di potenziali clienti, italiani e stranieri, dove oltre alle possibilità di shopping si generano ulteriori touchpoint con i consumatori, utili per competere nell’era dell’omnichannel.

 

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