Da Torino lo slogan: primo, aziende sane

Dal 2° Forum Shackleton arriva ai titolari un avvertimento netto: la farmacia non è più il bancomat di famiglia, per sostenersi e crescere ha bisogno di una buona capitalizzazione. Se non lo si accetta, meglio vendere

Da Torino lo slogan: primo, aziende sane

Oggi la prima preoccupazione del titolare di farmacia non dev’essere quella di sfrondare l’assortimento, gestire gli ordini con l’occhio al futuro più che allo storico o imparare dai propri concorrenti. No, prima di tutto questo bisogna fare in modo di avere alle spalle un’azienda sana, cioè ben capitalizzata. E sono parecchi i presidi dalla croce verde che attualmente non possono dire di essere in tale condizione. E’ uno degli allarmi che arrivano dal 2° Forum Shackleton sull’innovazione in farmacia, organizzato mercoledì scorso nella cornice patinata dello Juventus Stadium di Torino. Dietro alla scelta della sede c’era l’intenzione di portare all’attenzione dei farmacisti un caso di successo manageriale e imprenditoriale (oggi l’impianto assicura alla società bianconera il 16% degli utili complessivi) e infatti nel corso dell’evento l’esperienza “Juventus” è rimbalzata più volte. Ma si è parlato parecchio anche di sostenibilità e patrimonializzazione della farmacia. «Il 60% dei titolari» ha detto per esempio Franco Falorni, commercialista e docente di economia aziendale all’università di Pisa «possono essere definiti “matti”, perché hanno una farmacia in cui continuano a investire capitali ma che non rende quanto dovrebbe. In sostanza non hanno il controllo, non sanno dove finiscono i loro soldi».

Questi farmacisti, così come quelli la cui farmacia non solo non rende ma è pure sottocapitalizzata (i “morti”, li chiama Falorni) dovrebbero innanzitutto mettersi a lavorare sui fondamentali della loro impresa. «Vedo molti farmacisti venire da me perché vorrebbero incrementare fatturati o marginalità» ha osservato Nicola Posa, amministratore delegato di Shackleton Consulting «e poi appena andiamo a vedere qualche bilancio vediamo che il primo problema è la mancanza di buoni fondamentali. Ricordatevelo, un imprenditore non può costruire niente se prima l’azienda non è sana».

Per Posa, in particolare, i farmacisti devono rendersi conto che i tempi sono cambiati e la farmacia non è più il bancomat della famiglia. «Ci sono dinastie industriali» ha ricordato «che hanno costruito le loro fortune sul detto “azienda ricca, famiglia povera”. In passato tra i farmacisti ho visto spesso situazioni opposte, è arrivato il momento di rendersi conto che questo stato di cose non è più sostenibile. Prendere o lasciare: o il titolare accetta l’idea di fare l’imprenditore a tutto tondo e investire nella sua azienda, oppure è meglio che passi il testimone». Soltanto dopo aver deciso di scommettere si può cominciare a parlare di strategie aziendali. «Si investe per aumentare il reddito d’impresa» ha continuato Posa «e per farlo non ci sono che due leve: aumentare i ricavi e ridurre i costi». Che si agisca sull’una o sull’altra (o su tutte e due), è fondamentale che il titolare prenda coscienza del fatto di essere un imprenditore e agire come tale: «Ci sono farmacie che hanno assortimenti infiniti» ha detto Posa «è arrivato il momento di tagliare perché altrimenti non c’è sostenibilità. Sbagliato anche fare gli ordini in base allo storico: si disegna un percorso di sviluppo e si fanno gli ordini in base a quel programma». E infine, i farmacisti la smettano di stare chiusi tra le quattro mura della farmacia: «Andate in giro e guardatevi attorno, andate a sbirciare che cosa fanno i vostri concorrenti, osservate come lavora la Gdo e che cosa fa, studiate il vostro bacino d’utenza e la sua clientela. E in farmacia, dedicate meno tempo alla logistica e più al paziente e ai servizi, che sono creatori di traffico e cross selling».

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