Dall’insegna al brand, evoluzione ancora assente

Dall’insegna al brand, evoluzione ancora assente

“Farmacia dott. Rossi” oppure “Farmacia Garibaldi”, non si scappa. Tranne rare eccezioni, le insegne innalzate dalle farmacie di tutta Italia recano immancabilmente il nome del titolare o un toponimo di luogo: la via, il corso, la piazza, il quartiere, la stazione. E’ una tradizione talmente radicata che chi subentra al proprietario precedente solo di rado s’interroga sull’opportunità di dare un nuovo nome alla farmacia (addirittura, non è infrequente il caso di cognomi mantenuti sull’insegna anche quando non sono più quelli del titolare) e chi apre ex novo non si arrovella più di tanto su cosa scrivere sopra la vetrina.

Rispetto ad altri canali il contrasto è stridente, perché altrove la creazione di marchi e insegne è spesso affidata alla creatività di pubblicitari di professione. E dietro ci sono ponderate riflessioni sulla filosofia aziendale da far emergere, sui messaggi insegna5subliminali da trasmettere, sull’originalità da ricercare. In sintesi, è come se esistessero due mondi paralleli: in quello della farmacia nomi e insegne si preoccupano innanzitutto di preservare continuità e tradizione; nel commercio, invece, prevale la novità.

Ma è poi così? E soprattutto, è opportuno che la farmacia mantenga questa impronta, oppure è arrivato il momento di essere più dinamici anche su nomi e insegne? «Le ricerche dicono che il consumatore italiano sceglie la farmacia per la prossimità o per la professionalità del farmacista» è la risposta di Marco Mariani, responsabile della rete Farmondo «quindi avere un’insegna più “fantasiosa” del solito o più moderna delle altre influisce poco. Molto più importante invece concentrarsi sul servizio, sull’assortimento, sugli orari e sulla facilità di parcheggio: questi sì che sono elementi che fanno preferire un punto vendita».

Per Nicola Posa, senior partner di Shackleton Consulting, più che sul nome dell’insegna i farmacisti dovrebbero invece concentrarsi sul suo “branding”: «La tradizione è un valore e ci sono farmacie che già hanno nomi bellissimi proprio perché legati ai luoghi, tipo “Farmacia del Convervatorio”. Piuttosto, sarebbe opportuno che i titolari cominciassero a lavorare sulla loro insegna per farne un insegna1brand, come stanno facendo molte aziende. Per esempio Autogrill: nasce nel 1947 come nome identificativo del primo punto di ristoro autostradale, oggi quella “A” con lo svolazzo è un marchio che dà valore e fidelizza. Insomma, si deve fare dell’insegna un logo».

Per Giulio Pacenti, presidente di Pharma Consulting Group, il problema dell’insegna è invece legato strettamente alla questione del posizionamento. «Non dobbiamo dimenticare» dice «che la farmacia è figlia del Ssn e fino a ieri l’azione di marketing più proficua che il titolare poteva mettere in campo non era cambiare nome ma aprire uno studio medico sopra il suo esercizio. Oggi nella stragrande maggioranza delle farmacie permane un’offerta indistinta e aspecifica, ovvio quindi che i titolari si facciano poche questioni su ciò che appare nell’insegna: dietro a un nome come l’Erbolario c’è una specifica scelta di campo, c’è un valore da trasmettere al consumatore. In farmacia, invece, resiste generalmente l’idea che si debba avere tutto per accontentare tutti». Eppure, sarebbe urgente che i farmacisti cominciassero a ragionare in termini di posizionamento: «Io lo dico da tempo» continua Pacenti «è il momento di usare la leva dell’assortimento distintivo, le farmacie devono cominciare a differenziarsi. Solo dopo si può cominciare a ragionare sul nome come espressione di tale posizionamento».

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