Farmacie low cost, la Francia sale in cattedra

Farmacie low cost, la Francia sale in cattedra

Fare concorrenza alla grande distribuzione con le stesse tecniche della grande distribuzione. In Italia è luogo comune consigliare i titolari dall’astenersi, perché si rischiano bagni di sangue. In Francia invece c’è un circuito di farmacie – il gruppo Lafayette, nessuna parentela con le note “Galeries” parigine – che pare riuscirci piuttosto bene. Con palese soddisfazione degli associati e un certo malessere degli altri titolari.


Il posizionamento dell’insegna è quello della cosiddetta farmacia “low cost”: in sintesi, margini risicati in cambio di volumi e ingressi elevati, ma anche di un’offerta che definire ampia è poco. A prestare fede ai numeri snocciolati dal Quotidien du lafayette3Pharmacien, infatti, in una farmacia Lafayette vengono commercializzate tra le 18 e le 30mila referenze soltanto nel parafarmaco e nell’Otc, a prezzi inferiori mediamente del 20-30% rispetto a quelli di mercato.


Come ci riescono? Semplice: il margine medio sui prodotti in vendita non supera il 20%, ma gli utili netti riescono comunque a restare alti perché gli ingressi spiccano il volo: ogni giorno i punti vendita della catena sarebbero visitati da più di 700 persone, per un giro d’affari che a farmacia raggiungerebbe i sei milioni di euro all’anno (il fatturato medio di un esercizio dalla croce verde si aggira in Francia sul milione e mezzo all’anno). Conferma al Quotidien la titolare di una farmacia parigina (zona Les Halles) da poco passata sotto l’insegna Lafayette: in un mese e mezzo gli ingressi sono aumentati del 30%.


Un effetto collaterale del format “low cost” è poi rappresentato dall’emancipazione dalla ricetta, bianca o rossa che sia: il “mix” di lafayette2una farmacia del network, infatti, comprende un terzo di extrafarmaco, un terzo di Otc e un terzo di etico. «Il nostro modello» conferma Hervé Jouves, direttore generale del gruppo Lafayette «non intende dipendere dal servizio sanitario».


Ma quanto è “importabile” nel nostro Paese il format francese? «La sanità “low cost” è ormai un fenomeno ben consolidato anche da questa parte delle Alpi» è la risposta di Erika Mallarini, docente della Sda Bocconi e direttore dell’Osservatorio consumi privati in sanità «quindi il consumatore italiano è già maturo. Soprattutto, non c’è più l’idea che low cost significhi scarsa qualità, anzi prevale il concetto che risparmiare è smart, cioè cosa da persone accorte». Questo, però non vuol dire che il modello possa essere importato senza adattamenti: «Nella gdo, le catene di discount che dai Paesi nordici sono entrate in Italia» avverte Mallarini «hanno rivisto in parte la loro filosofia, aprendo ai brand e a più alti livelli di servizio». In ogni caso, non si può fare low cost se dietro non c’è la giusta organizzazione gestionale: «La parola d’ordine è ancora una volta standardizzazione: dei processi di acquisto, della struttura dei costi, dei livelli di servizio e via di seguito».


Anche per questi motivi, c’è chi tra gli esperti sconsiglia le farmacie italiane da imitazioni e clonazioni: «Il mio suggerimento» dice Nicola Posa, senior partner di Shackleton consulting «è che i titolari italiani studino con attenzione il modello Lafayette e lo capiscano. Ma evitino accuratamente “copia e incolla”, perché potrebbe essere pericoloso». Rispetto alla realtà della farmacia italiana, infatti, la Francia mostra differenze importanti. «Le quote di mercato della grande distribuzione là sono ben altre» avverte Posa «e poi occhio, le formule low cost funzionano soltanto se dietro ci sono risorse importanti e la capacità di fare massa critica. In sostanza, una farmacia singola che cercasse di replicare la formula, rischia di restare stritolata». Ecco allora spiegato il consiglio di osservare e capire: «Modelli tipo Lafayette si basano su alcuni elementi imprescindibili: per cominciare bisogna saper comprare bene. Poi servono punti vendita collocati nelle zone giuste, se non sei in un’area di grande passaggio non riesci a generare i volumi che occorrono. E poi dietro ci deve essere un progetto ben calibrato, che definisca le strategie di marketing e le scelte di vendita. Se i titolari vogliono capire di che cosa parlo si studino l’esempi odi Tiger, la catena di accessori e gadget low cost nata in Danimarca e sbarcata da poco in Italia. Potranno anche sembrare bazar, ma la selezione dei prodotti non è affidata al caso e dietro ci sono scelte di marketing tutt’altro che banali».

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