Vetrine e comunicazione in store, gli orrori in farmacia

Soltanto l'1% degli italiani entra in farmacia perché attratto dalla vetrina. E il 65% lo fa perché ha in mano una ricetta, contro il 44% dei francesi. Il motivo? Ai titolari manca ancora la cultura della comunicazione in store

Vetrine e comunicazione in store, gli orrori in farmacia

Secondo alcune ricerche solo l’1% degli italiani entra in farmacia perché attratto dalla vetrina. Non è un dato di cui andare fieri, perché vuole dire che al farmacista manca quasi del tutto la consapevolezza di cosa sia la comunicazione in store. D’altronde basta fare un giro per farmacie in questo primo scorcio di stagione autunnale e di malattie del freddo: a me è capitato di osservarne tre nel centro di una città del nord, a poca distanza l’una dalle altre, con le vetrine addobbate quasi allo stesso modo: foglie e fiori secchi, tronchi d’albero, grappoli d’uva, castagne, nature morte di stile caravaggesco anche belle in sé ma che poco c’entrano con i prodotti esposti, il cui scopo è invece quello di rigenerare cancellando il tempo che avanza (e di cui l’autunno rappresenta la fase declinante).

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Va bene il periodo è quello, ma riempire la vetrina in modo così banale e disadorno significa sprecare le potenzialità comunicative di uno strumento che – come dicono tutti gli esperti – è il biglietto da visita della farmacia. Eppure per fare di meglio basterebbe anche solo prendere ispirazione dalla concorrenza: a pochi metri appena da una di queste farmacie, ho incrociato uno store Prenatal dalle vetrine ben curate, cartelli a caratteri cubitali, foto giganti e messaggi leggibili.

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La disattenzione dei titolari verso la comunicazione in store (che ovviamente non si esaurisce con la vetrina ma abbraccia tutta l’area di vendita) spiega perché mediamente in Italia il cliente resta in farmacia solo 4 minuti e 10 secondi, contro i 9 minuti e 22 secondi dei francesi. E spiega perché in Italia il 65% dei consumatori entra nelle farmacie con la ricetta in mano mentre in Francia sono solo il 43%. Siamo ancora troppo ancorati al farmaco etico e poco educati al cross category e al cross selling, lo staff della farmacia non viene motivato a sufficienza ed è poco preparato al cambiamento. Nelle nostre farmacie c’è sempre un eccesso di stimoli, quando invece la regola dice che più di tre stimoli contemporaneamente creano confusione nel cliente, che non riesce più a leggere l’assortimento. Un altro errore da evitare è il cosiddetto “effetto trincea”, comune purtroppo a molte farmacie: sovrabbondanza di cartelli sugli scaffali, banco ricoperto di espositori a tal punto da costringere il farmacista a ondeggiare come nelle foto quelli che stanno in ultima fila. In alcuni casi scatta persino l’effetto “mano della famiglia Adams”, perché questo è ciò che il cliente vede spuntare tra cartelli ed espositori. In una farmacia visitata di recente ne ho visti 14 tutti in fila sul banco, e non era neanche l’errore peggiore: i prodotti esposti al pubblico erano completamente privi di prezzatura, gli scaffali erano tappezzati di cartelli scritti a mano tipo bancarelle del mercato, sul banco c’erano espositori di creme il cui prezzo – superiore ai 20 euro – escludeva la possibilità di un acquisto d’impulso (spazio sprecato, quindi) e infine sulle gondole un category “creativo” con profilattici, lubrificanti, tacchi a spillo e un cartello per pubblicizzare il generico del viagra. Ma comunicare è tutta un’altra cosa.

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