L’intervista a Erika Mallarini, Associate Professor of Practice di Government, Health and Not for Profit, SDA Bocconi School of Management, Milano

L’intervista a Erika Mallarini, Associate Professor of Practice di Government, Health and Not for Profit, SDA Bocconi School of Management, Milano

La farmacia negli ultimi 5 anni è molto cambiata, dall’espansione dei servizi, all’aumento delle farmacie di catena: come si sta trasformando il suo ruolo nel sistema salute?

Il vero punto di svolta è stato il DM 77. Questa riforma ha finalmente riconosciuto alla farmacia un ruolo pieno e strutturato nella rete dell’assistenza territoriale come presidio sanitario di prossimità. Rispetto alle normative precedenti sulla farmacia dei servizi che guardavano alla farmacia come a un presidio autonomo, non inserito in una visione organica del territorio. Il DM 77 nasce come riforma dell’assistenza territoriale nel suo complesso e integra le farmacie in questo nuovo modello. È questo cambio di prospettiva che permette di rendere i servizi realmente operativi e coerenti con l’organizzazione del SSN: la farmacia non opera più “accanto” al sistema ma “dentro” al sistema. Un passaggio decisivo, che Federfarma ha sostenuto con costanza e visione. In questo quadro, l’evoluzione del modello organizzativo sta accelerando. Le reti di farmacie – siano esse aggregazioni di indipendenti o realtà più strutturate – rappresentano oggi un vero booster per tutto il sistema: permettono standard organizzativi più solidi, comunicazione efficace e una maggiore riconoscibilità da parte dei cittadini e delle istituzioni. Il risultato? Cresce anche il valore delle farmacie indipendenti che diventano più visibili, più integrate e più facilmente riconosciute come erogatrici di servizi professionali.

 

Quali forze esterne -normative, economiche, demografiche- stanno influenzando di più questa evoluzione?

Sicuramente, se guardiamo ai fattori demografici, l’invecchiamento della popolazione e la crescita delle cronicità rappresentano da anni due forze che spingono la farmacia a evolvere il proprio ruolo. Si tratta di dinamiche ormai strutturali che richiedono una presenza territoriale capace non solo di dispensare farmaci, ma di offrire servizi di monitoraggio, prevenzione e supporto continuativo ai pazienti, soprattutto quelli più fragili.

Sul fronte economico, invece, stiamo assistendo a una serie di discontinuità che rendono il contesto particolarmente sfidante: la progressiva riduzione dei margini sui medicinali rimborsati, le interdipendenze competitive con altri canali distributivi e l’impatto sempre più significativo delle tecnologie digitali sono elementi che modificano profondamente il modello di business della farmacia, spesso con effetti difficilmente prevedibili. Proprio il digitale, però, rappresenta anche la leva più promettente di trasformazione: dalla capacità di rendere più efficienti i processi interni, alla possibilità di integrare meglio la farmacia con il Servizio Sanitario Nazionale, fino allo sviluppo di strumenti – come la teleconsulenza – che ampliano l’accessibilità e il valore dei servizi offerti. Un nodo cruciale, in questo senso, è il miglioramento dell’interoperabilità dei sistemi, indispensabile per un’effettiva integrazione della farmacia nell’assistenza territoriale.

A livello economico sta emergendo anche un altro fenomeno rilevante: l’evoluzione di settori come il benessere, la prevenzione e la sanità integrativa che sempre più riconoscono nella farmacia un touch point strategico. La farmacia dei servizi sta rafforzando questa percezione, aprendo opportunità in aree di business ancora poco presidiate rispetto al loro potenziale.

Infine, vale la pena tornare sul DM 77, che – come già accennato – ha segnato un vero cambio di paradigma. Non si limita a riconoscere nuovi servizi, ma integra la farmacia in una riforma organica dell’assistenza territoriale, attribuendole un ruolo strutturale nel sistema sanitario. È questa integrazione, più che qualsiasi altra norma precedente, a rendere oggi più concrete e sostenibili le attività della farmacia dei servizi.

 

In che modo la formazione universitaria può accompagnare la crescita professionale dei nuovi farmacisti: le recenti riforme del Corso di Laurea sono in grado di offrire gli strumenti necessari alla nuova professione?

Il nuovo ordinamento, soprattutto per quanto riguarda il rafforzamento del tirocinio pratico, rappresenta sicuramente un passo avanti importante: avvicina la professione del farmacista alla realtà contemporanea e alle esigenze concrete del mercato. L’introduzione di nuove materie, insieme a una riorganizzazione complessiva del percorso formativo, offre strumenti più adeguati al ruolo che il farmacista è chiamato a svolgere oggi. Rimane però ancora molto da fare, in particolare sul versante della farmacia clinica che è una componente essenziale per lo sviluppo dei servizi e per la piena integrazione nel modello di assistenza territoriale. Un altro punto critico riguarda le competenze manageriali: la farmacia, oltre a essere un presidio sanitario, è anche un’impresa con una dimensione economica rilevante che richiede capacità gestionali specifiche. La farmacia dei servizi, poi, necessita di competenze ulteriori rispetto alla sola conoscenza del farmaco: occorre saper organizzare processi, valutare tempi e risorse, leggere i bisogni del territorio, coordinare attività professionali diverse.

C’è poi la questione, altrettanto rilevante, della conoscenza del sistema sanitario e della capacità di lavorare in team multiprofessionali. La farmacia non è un’entità isolata: è parte di un ecosistema complesso, e oggi più che mai la presa in carico efficace del paziente passa attraverso la collaborazione tra professionisti e la comprensione dei meccanismi che regolano l’assistenza. Su questo, l’università ha ancora margini di miglioramento, perché difficilmente prepara gli studenti a inserirsi in un contesto integrato e multidisciplinare.

Va detto, tuttavia, che queste criticità non sono esclusivamente italiane. A livello europeo – e internazionale – la professione del farmacista sta vivendo trasformazioni simili: ovunque si assiste a un ampliamento delle competenze, a un cambiamento generazionale e a riforme dell’assistenza territoriale accelerate anche dall’esperienza del Covid. In questo senso, stiamo tutti attraversando una fase di apprendimento e adattamento, cercando di adeguare formazione e modelli professionali a un ruolo che evolve rapidamente.

 

Esistono modelli europei o internazionali da cui trarre spunti utili per il contesto italiano, penso soprattutto alla organizzazione del personale?

Se guardiamo ai modelli organizzativi e al ruolo della farmacia in Europa, il sistema inglese è probabilmente quello più avanzato in termini di varietà e ampiezza delle attività svolte, con un portafoglio di servizi molto esteso e strutturato. Detto questo, l’Italia non è affatto indietro: in alcuni ambiti, come quello delle vaccinazioni in farmacia, abbiamo addirittura superato diversi Paesi europei. Inoltre, stiamo lavorando con sempre maggiore attenzione sui meccanismi di accreditamento, elemento che rende più solida e riconosciuta la farmacia dei servizi. Per questo ritengo che non sia necessario ricorrere a modelli esteri come benchmark: il nostro percorso evolutivo è già ben avviato e presenta caratteristiche di eccellenza. Sul versante dell’utilizzazione del personale, invece, emergono criticità più marcate rispetto ad altri Paesi. La carenza di professionisti sanitari è un fenomeno europeo che riguarda non solo i farmacisti, ma anche medici e infermieri. Tuttavia in Italia la situazione è aggravata da livelli retributivi più bassi rispetto alla media europea, condizione che rende difficile attrarre nuove risorse e alimenta la scelta di percorsi professionali alternativi alla farmacia. Di conseguenza, diventa inevitabile ripensare la struttura organizzativa delle farmacie.

Altri Paesi si sono già mossi in questa direzione e dispongono di modelli organizzativi più moderni, mentre in Italia è ancora diffusa una struttura tradizionale, pensata per un modello di farmacia che oggi non esiste più. Il farmacista deve infatti dedicare sempre più tempo a compiti a elevato valore professionale – penso all’aderenza terapeutica, al counselling, ai servizi clinici – mentre contemporaneamente il carico operativo cresce. Il risultato è un sistema che rischia di non reggere senza un cambiamento.

Il nostro gruppo di lavoro ha individuato una possibile risposta nell’introduzione dell’assistente di farmacia – da non confondere con l’assistente farmacista-, una figura diplomata che possa assumere tutte le attività non cliniche e non professionali, liberando tempo prezioso per il farmacista. È una soluzione pragmatica che migliorerebbe efficienza, qualità delle attività operative e motivazione del personale. Tuttavia, in Italia esiste ancora un forte blocco culturale verso questo tipo di figura, come se ampliare il team significasse sminuire il ruolo del farmacista. È esattamente il contrario: introdurre figure di supporto significa tutelare e valorizzare il ruolo professionale del farmacista, permettendogli di concentrarsi su ciò che realmente richiede le sue competenze.

 

La farmacia dei servizi è entrata a pieno titolo nel Ssn, grazie al decreto semplificazioni e alla Manovra 2026. Questo ampliamento dei servizi come si concilia la sostenibilità economica e organizzativa delle farmacie?

Questo tema, a mio avviso, è assolutamente centrale. Quando parliamo di farmacia dei servizi, la vera questione non è soltanto la sostenibilità economica, ma la profittabilità: i servizi devono generare valore, altrimenti non possono essere sviluppati, mantenuti né tantomeno integrati in modo strutturale nell’offerta della farmacia. Non esiste infatti un servizio che sia remunerativo “di per sé”: la marginalità dipende sempre dal modo in cui la farmacia è organizzata e dal contesto territoriale in cui opera. Se una farmacia si trova in un’area con un’elevata presenza di altri erogatori sanitari – quindi in un contesto molto competitivo – è evidente che avrà meno spazio per differenziarsi e intercettare la domanda. Al contrario, nelle molte aree italiane in cui la farmacia rappresenta l’unico presidio di prossimità realmente accessibile, le opportunità di sviluppo sono maggiori e i servizi possono generare un ritorno economico più consistente. Per questo la sostenibilità dei servizi è prima di tutto una questione organizzativa: occorre conoscere profondamente il proprio territorio, analizzare i bisogni dell’utenza, valutare gli spazi disponibili, capire quanto tempo il personale può dedicare alle attività professionali e quali processi possono essere ottimizzati. Solo integrando questi elementi la farmacia può individuare quali servizi attivare e come strutturarli in modo da renderli realmente profittevoli.

Per gestire i servizi però servirà più personale: è dunque necessario un cambiamento profondo nello skill mix e un deciso investimento nella digitalizzazione. Oggi molte attività svolte in farmacia – dalla prenotazione dei servizi alla raccolta delle informazioni del paziente, fino alla gestione della refertazione – non richiedono competenze sanitarie né un atto professionale del farmacista. Si tratta di compiti amministrativi che possono essere gestiti in modo più efficiente attraverso strumenti digitali oppure delegati a figure di supporto che non necessitano di una laurea. È una scelta organizzativa che libera tempo prezioso per il farmacista, permettendogli di concentrarsi sulle attività cliniche e professionali a più alto valore aggiunto. La carenza di professionisti sanitari, del resto, è un fenomeno diffuso in tutta Europa e non riguarda solo i farmacisti: coinvolge anche medici e infermieri. Anche qualora si intervenisse con riforme universitarie per rendere il percorso più attrattivo, o con una revisione del contratto collettivo, i risultati richiederebbero anni. Per affrontare il problema nell’immediato serve quindi un ripensamento dei ruoli all’interno della farmacia e una digitalizzazione più spinta dei processi. In questo contesto, la figura dell’assistente di farmacia emerge come una soluzione concreta e già validata dalle ricerche: consente di aumentare il fatturato, migliorare l’organizzazione interna e, soprattutto, motivare i farmacisti che oggi spesso lasciano la professione a causa di un sovraccarico di mansioni non professionali. L’introduzione di questa figura non richiede una norma dedicata né l’istituzione di nuovi percorsi di laurea: è la singola farmacia a decidere quale formazione sia necessaria che può variare da pochi giorni a qualche settimana. È un modello estremamente flessibile, facile da implementare e perfettamente coerente con le trasformazioni richieste dal nuovo assetto dell’assistenza territoriale.

 

Quali sono, secondo lei, i temi che domineranno l’agenda della farmacia nel 2026?

Il primo grande tema è certamente quello del personale, in tutte le sue dimensioni: dall’incentivazione all’ingaggio, dalla gestione organizzativa alle differenze generazionali che influenzano motivazione e aspettative. Non possiamo parlare di futuro della farmacia se non affrontiamo il nodo centrale: senza farmacisti non esiste la farmacia. Per questo il tema del contratto e, più in generale, della valorizzazione professionale è cruciale. Se vogliamo far crescere – e in molti casi anche far sopravvivere – la farmacia, dobbiamo partire da qui: investire sui farmacisti, sulle loro competenze, sulla loro motivazione.

Il secondo grande capitolo riguarda la transizione digitale che non si limita all’introduzione di strumenti tecnologici, ma implica un ripensamento complessivo dei processi. Significa interrogarsi su come usare realmente i dati – dal Fascicolo Sanitario Elettronico all’interoperabilità con il nuovo modello di assistenza territoriale – e su come il digitale possa restituire tempo ai professionisti, migliorare l’efficienza interna e aumentare il valore per il paziente. È anche l’occasione per sviluppare servizi come telemedicina e teleconsulenza del farmacista, che possono potenziare il ruolo della farmacia nella presa in carico.

Un’altra questione spesso sottovalutata è la distribuzione intermedia. La fragilità attuale di questo segmento della filiera dovrebbe richiamare maggiore attenzione da parte dei farmacisti: se è vero che una farmacia non esiste senza farmacisti, è altrettanto vero che non esiste senza farmaci. Il distributore intermedio è un attore cruciale per la sostenibilità dell’intero sistema e oggi si trova in difficoltà per diversi fattori esterni, ma anche per scelte e comportamenti della categoria che hanno inciso nel tempo. Riconoscerne il ruolo e sostenerne l’evoluzione è fondamentale per garantire continuità all’assistenza.

Poi ci sono i servizi che rimarranno nell’agenda del settore non solo nel 2026 ma anche negli anni successivi, soprattutto quando la riforma dell’assistenza territoriale entrerà pienamente a regime nel 2027. In questo scenario, sarà essenziale definire un modello chiaro per la farmacia dei servizi nelle aree rurali, dove la necessità di prossimità è maggiore ma le risorse sono più limitate. Occorre quindi sistematizzare il rapporto con il sistema sanitario, così da rendere sostenibile e riconosciuto il lavoro delle farmacie in questi territori.

Infine, un tema di grande potenziale ma ancora poco considerato: il deblistering. Lo ritengo una straordinaria opportunità per migliorare l’aderenza terapeutica, la sicurezza e la qualità dell’assistenza, ma oggi è largamente sottovalutato. Rappresenta invece una frontiera interessante sia per il valore clinico sia per le ricadute organizzative ed economiche che può generare.

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