Coronavirus, dopo il primo shock, niente panico. Stefano Cini commenta l’indagine di Nielsen Global Connect

Coronavirus, dopo il primo shock, niente panico. Stefano Cini commenta l’indagine di Nielsen Global Connect

Attenti, consapevoli, ma fiduciosi che l’emergenza si risolverà presto: il 46% degli italiani ritiene che basterà un mese per superarla. È questo il pensiero dei nostri connazionali che emerge da una ricerca condotta da Nielsen Global Connect su un campione di 2000 persone rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni, con l’obiettivo di verificare l’effettivo impatto sul sentiment del COVID-19 a una settimana dal primo contagio.

Ben informati: il 94% del campione accede almeno una volta al giorno alle notizie che riguardano il virus e il 69% lo fa più volte durante la giornata, ma senza troppi allarmismi: solo il 17% del totale, infatti, si dichiara effettivamente preoccupato del contagio e/o dell’eventualità di un’epidemia.

Al Sud più paura che al Nord: i più preoccupati in assoluto sono gli abitanti del Sud Italia (23%), seguiti dai residenti al Centro (15%) e dai residenti al Nord Est e al Nord Ovest (entrambi al 14%). A livello di singole Regioni, la Campania è quella con la percentuale più alta di persone in apprensione (28%). Paradossalmente, i residenti nelle regioni con più casi accertati sembrano più tranquilli. I “preoccupati” in Lombardia sono il 16%, in Piemonte e Veneto solo l’11%.

Come ci informiamo? Nelle preferenze degli italiani, le fonti istituzionali e giornalistiche superano nettamente quelle “sociali”: per tenersi aggiornati: infatti, il 74% degli italiani si affida prima di tutto a notiziari e programmi televisivi, seguiti da siti di news (39%), siti delle istituzioni (35%), stampa cartacea italiana (19%) ed estera (11%). Per quanto riguarda le fonti “sociali”, il canale primario sono i social network (24%), seguiti da amici, colleghi e famigliari (14%). Purtroppo, appena il 12%, si “affida” a personale specializzato medico e sanitario.

Quanto ci vorrà per uscire dalla crisi? I costanti input mediatici hanno portato gli italiani a farsi opinioni precise sulle tempistiche di rientro dello stato di rischio per l’Italia. Gli intervistati si dividono in chi ritiene che basterà 1 mese per uscire dalla fase di diffusione del virus (46%), mentre il restante 54% ritiene che servirà più tempo. Un dettaglio interessante a livello regionale: la Regione più ottimista in assoluto è proprio la Lombardia, con il 54% dei cittadini convinti che l’”emergenza nostrana” possa rientrare entro 4 settimane. Alla domanda sul rientro dell’emergenza su scala globale, invece, gli italiani sono più pessimisti, ipotizzando un orizzonte temporale superiore a 2 mesi nel 53% dei casi.

 

 

Le precauzioni più utilizzate: la fiducia nel contenimento dell’epidemia a livello nazionale è relativamente alta anche perché gli italiani si sono attivati con alcune precauzioni igienico-sanitarie. La prima è banale, ma suggerita da tutte le istituzioni sanitarie locali e internazionali: lavarsi frequentemente le mani, praticata dal 79% della popolazione. Seguono l’utilizzo di disinfettanti e igienizzanti (45%) e il riparo delle cavità orali con fazzoletti usa e getta quando si starnutisce/tossisce (42%).

Le precauzioni non sono solo igieniche: sebbene la limitazione della socialità sia stata solo suggerita e non imposta, nella maggior parte dei Comuni delle zone colpite il 49% degli italiani dichiara di evitare, ove possibile, luoghi pubblici e affollati, soprattutto in Lombardia (58%). Al contempo, il 30% dichiara di evitare i mezzi pubblici (39% in Lombardia) e l’8% ricorre a modalità di smart working (18% in Lombardia).

Lo stile di vita degli italiani al tempo del Coronavirus cambia? Più di un terzo degli italiani dichiara di aver ridotto la frequenza con cui mangia fuori casa (35%) e beve fuori casa (32%). In queste settimane stanno anche crescendo abitudini più “domestiche”: il 27% della popolazione dichiara di guardare più televisione e il 15% più contenuti video online.

 

PharmaRetail ha chiesto a Stefano Cini (nella foto), marketing analytics director di Nielsen Global Connect Italia di commentare la ricerca.

 

Dalla vostra survey emerge che, nonostante le immagini a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane che ritraevano mezzi di trasporto deserti e supermercati svuotati, gli italiani non sembrano troppo preoccupati dall’ impatto del Coronavirus.

Premetto che questa è la fotografia del “momento 0” di un tracking che continueremo a monitorare e da questa fotografia, scattata a una settimana dal primo contagio ufficiale, emerge chiaramente che gli italiani sono attenti ma moderati nell’espressione della propria apprensione. Questo significa che sono perfettamente consapevoli che sta accadendo qualcosa di eccezionale e potenzialmente allarmante, ma che c’è una sostanziale fiducia di base che l’emergenza possa essere gestita. Vedremo nelle prossime settimane se questo sentiment persiste

 

La ricerca evidenzia anche che la regione più ottimista è proprio la più colpita, secondo lei perché?

Non è un paradosso, perché si spiega con il senso di fiducia che la popolazione lombarda sta esprimendo nei confronti del sistema sanitario regionale e delle scelte con cui le autorità stanno affrontando questa situazione.

 

Un altro elemento curioso è che, nel momento dell’emergenza, gli italiani sembrano preferire i canali di informazione più tradizionali rispetto ai social: come lo spiega?

Con due elementi. Da una parte essere costretti dalle circostanze a trascorrere più tempo in casa aumenta giocoforza il consumo televisivo, mentre i social media in proporzione sono fruiti più “on the go”, spesso consultati da mobile e in luoghi diversi rispetto alla casa.  Allo stesso tempo, c’è sicuramente il fatto che gli italiani, di fronte a un’emergenza, si affidano di più a media più istituzionali (come i notiziari) perché confidano nel maggiore senso di responsabilità di questi, sulla valutazione che l’informazione sia basata sui dati, più che su sensazioni personali. Quindi la conclusione è che gli italiani, in questa fase, hanno sicuramente bisogno di un’informazione il più possibile “data driven” e che mi auguro che i giornalisti sappiano essere all’altezza di questa domanda.

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