Retail dei prossimi anni, sempre più digitale

Retail dei prossimi anni, sempre più digitale

Prima della crisi, nel mondo del retail si parlava per lo più di integrazione omnicanale, adesso, con l’inizio della fase 2, si cominciano ad analizzare gli effetti di un lockdown prolungato dovuto all’emergenza sanitaria sul mondo del commercio, studiando i modelli che hanno funzionato e cercando di tracciare una direzione per il futuro. Nella videoconferenza organizzata dagli Osservatori Digital Innovation, che fanno parte della School of Management del Politecnico di Milano, dal titolo “Retailer ai tempi del Covid-19”, si è parlato dei modelli che hanno retto alla crisi e dei possibili scenari di sviluppo del commercio per il futuro.

Capire le nuove abitudini del consumatore

Alla fine del 2019 – secondo i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail – si registrava a livello internazionale una crescita dei consumi a livello globale del 3% nelle economie mature. In Italia la crescita era più contenuta, dell’1,5%, tra consumi online e off-line. Il canale digitale era in grande crescita, con un 10% nel mondo e un 21% in Italia, essendo il mercato e-commerce nel nostro Paese meno maturo. Di fatto ogni 100 euro spesi in Italia solo 6 passavano dal canale digitale, contro 17 nel Regno Unito.

In Italia il commercio online aveva visto acquisti per 18,1 miliardi di euro, con un +3,1 miliardi rispetto all’anno precedente. Tutte le sperimentazioni e l’innovazione passavano attraverso integrazione dell’omnicanalità, anche dei grossi retailer, con un e-commerce a supporto del canale tradizionale: per esempio Zara aveva organizzato camerini dedicati alla prova dei capi acquistati on-line, oppure Decathlon aveva messo dei locker in negozio.

«L’Italia vedeva un cambiamento lento verso il digitale, con investimenti del 1,5% del fatturato, con mancanza di competenze e grosse barriere organizzative», spiega Valentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail. Ma l’emergenza sanitaria da Covid-19, e in particolare le misure di lockdown messe in atto dai diversi governi, hanno cambiato la situazione.

«Le grandi crisi accelerano le tendenze già in atto, facendo emergere più rapidamente di quanto sarebbe accaduto in condizioni di normalità, gli attori economici più in grado di adeguarsi ai nuovi contesti», afferma Umberto Bertelè, chairman degli Osservatori Digital Innovation. «Tra le prime dieci aziende per capitalizzazione nel mondo, quelle che hanno avuto maggiore capacità di risalita dopo lo scoppio dell’emergenza Covid-19, sono state Amazon e Walmart. «La prima perché completamente digitale, la seconda perché ha ristrutturato completamente il suo business model», precisa Bertelè. «In generale, dobbiamo aspettarci fino al 2022 un consumatore più digitale, mediamente più povero e meno internazionale. In Italia molte aziende sono a rischio sopravvivenza, ma ci sono anche spazi ampi di imprenditorialità».

In questa fase storica l’e-commerce è il campione nel retail, ma quello che è importante considerare per il futuro è che le abitudini prese dai consumatori in questo periodo in parte perdurino.

«L’e-commerce, anche quello di prossimità, è destinato a crescere anche se la riapertura dei negozi fisici porterà ad un riequilibrio», spiega Pontiggia, «per esempio i negozi di vicinato che hanno cominciato a fare consegne a domicilio con ordini via WhatsApp dovranno e potranno mantenere il servizio. Questa è una linea di sviluppo che in Italia è da tenere in particolare considerazione, perché i negozi piccoli sono tanti. In questo modo possono creare una nuova catena di valore, nei confronti del consumatore». E non solo le piccole realtà hanno fatto cadere tutte le barriere al digitale: si pensi ad H&M, negli anni scorsi con una strategia di lentezza rispetto all’e-commerce, che ha deciso di potenziale il canale di acquisti online e di chiudere alcuni punti vendita.

Quindi, per affrontare il futuro, «in quella che sarà la nuova normalità, sarà necessario capire il consumatore. Un consumatore che non sarà subito pronto a entrare in negozio e che avrà acquisito nuove abitudini di acquisto, che tenderà a mantenere», conclude Bertelé. «Sta al retailer e alle imprese comprenderle e sfruttarle».

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