La crisi non soffia per tutti i titolari

La crisi non soffia per tutti i titolari

Questa non è la crisi della farmacia, che quando è sana rimane redditizia, ma è la crisi del farmacista. Di un certo farmacista, che ha fatto o continua a fare scelte imprenditoriali sbagliate. Non usa giri di parole Giampietro Brunello, amministratore delegato della Sose, per sintetizzare la fase che sta vivendo il mondo della farmacia. Ospite venerdì scorso della prima Convention Federfarma Servizi-Federfarma.co (organizzata a Garda, in provincia di Verona, il 16-17 ottobre), Brunello ha messo sul tavolo dati e cifre che sembrano dividere i titolari in “buoni” e “cattivi”: perché la crisi, ha detto, non soffia per tutte le farmacie allo stesso modo. Anzi, per una parte di loro è come se neanche ci fosse.


Di certo tutti i farmacisti hanno da fare i conti con un inaridimento dei ricavi Ssn che si conferma di anno in anno, perché – ha ricordato Brunello – «per rendere sostenibile la spesa il Ssn ha abbassato forzosamente il prezzo del farmaco». Conferma il valore medio della fustella, che ormai resta sopra i 10 euro in soltanto cinque regioni (Lombardia, Lazio, Abruzzo, Campania e Sicilia) e Brunello1continua a calare da un anno all’altro. Confermano al riguardo i dati del primo semestre 2014: la spesa farmaceutica convenzionata (fascia A) è calata del 3,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il calo di redditività della ricetta Ssn lascia traccia nei valori medi dei bilanci delle farmacie italiane: tra il 2010 e il 2012 i ricavi totali sono scesi del 4,4% mentre il costo del lavoro è cresciuto del 4,3% perché cala il valore dei pezzi venduti ma non la loro quantità. Il risultato è una contrazione del reddito d’impresa che in un biennio tocca il 12,8%.


Attenzione però, ha avvertito Brunello: le medie nascondono una casistica estremamente eterogenea, perché di fatto ci sono molte farmacie che, nonostante la crisi della ricetta rossa, non solo non hanno perso ma anzi vanno meglio di prima. «Il motivo è presto detto» ha osservato l’amministratore delegato della Sose «la verità è che queste farmacie sono riuscite ad accrescere l’area commerciale e compensare l’arretramento dell’etico». La deduzione obbligata è che la situazione economica in cui oggi versano le farmacie «è anche risultato delle scelte operate dai singoli farmacisti».


Anche in questo caso i dati confermano. Presi in considerazione i principali indicatori di performance e struttura, gli esperti della Sose hanno classificato le farmacie in base a tre parametri di “debolezza”: ammortamento dell’avviamento gravante sui ricavi per più del Brunello34,69%; incidenza sul fatturato degli oneri finanziari superiore al 2,92% e del totale debiti (verso banche e fornitori) superiore all’80%; rapporto costi fissi (ammortamenti, spese personale dipendente, godimento di beni di terzi) sui costi variabili superiore al 26,65%. Le farmacie che presentano almeno un indicatore su tre fuori dai parametri sono in totale 4.200 circa e nell’insieme si caratterizzano per una contrazione del reddito d’impresa superiore alla media (-13,6% vs. -12,8%). «Le farmacie appartenenti a questo gruppo» ha rimarcato Brunello «presentano segnali di debolezza ma possono ancora riprendersi perché hanno ancora fiato per tornare a correre». Queste imprese, infatti, dichiarano redditi d’impresa pari mediamente a 37mila euro (dati 2012), ma possono sempre contare su una liquidità (ossia un flusso di cassa) di circa 70mila euro, che supera i 133mila quando la farmacia ha un fatturato superiore ai due milioni di euro.


Stanno molto peggio, invece, le farmacie che hanno fuori dai parametri tutti e tre gli indicatori. In tutto sono circa 280 e per loro il default è praticamente a un passo: in media, infatti, il reddito d’impresa 2012 rivela perdite attorno ai 50mila euro e la gestione corrente genera liquidità per non più di 33mila, troppo poco per riuscire a fare investimenti o ristrutturazioni e quindi invertire la Brunello4tendenza. Ma ci sono altri elementi che contraddistinguono le farmacie di questo gruppo: il 60% ha iniziato l’attività dopo il 2008, quindi appartengono a titolari che verosimilmente hanno comprato a prezzi di mercato ancora alti e subito dopo hanno dovuto fare i conti con l’erosione della marginalità Ssn; l’ammortamento riconducibile all’avviamento rappresenta mediamente più del 90% dell’ammortamento complessivo (quindi il titolare ha comprato a leva, indebitandosi); infine, interessi passivi e altri oneri finanziari pesano sui ricavi per il 5,9%, contro una media generale dell’1,4%. In sintesi, «si tratta di farmacie appartenenti a titolari che hanno commesso errori, perché hanno acquistato nel momento sbagliato o perché fanno le cicale quando invece dovrebbero essere formiche»


Il conteggio delle farmacie a rischio default, tuttavia, va più in là delle 280 di cui s’è appena detto. Se si vanno ad analizzare le condizioni dell’indebitamento, infatti, il numero cresce sensibilmente: tra le farmacie che pagano dopo 90 giorni e hanno coperto con le banche l’80% dell’avviamento, per esempio, ce ne sono 372 che non riescono più a generare flussi finanziari, cioè chiudono in passivo. «Sommate tutte le situazioni» ha concluso Brunello «il sistema ha in pancia 400-450 imprese che sono molto vicine al default o già ci stanno dentro. E con le aperture che arriveranno dal concorso straordinario, il numero potrebbe crescere e superare le 500».

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