Oggi parliamo di… guerrilla marketing

Oggi parliamo di… guerrilla marketing

Meglio se ne parliamo oggi, di guerrilla marketing, perché è possibile che tra poco non se ne parli più, non perché stia scomparendo, ma perché a breve sarà il più diffuso o addirittura l’unico modo di stare sul mercato, e si chiamerà soltanto marketing.

Da dove viene l’espressione? È una locuzione spanglish, come si definiscono i vocaboli e le frasi in cui inglese e spagnolo si fondono; la contaminazione delle due lingue è un fenomeno abbastanza diffuso negli Usa.

Che cosa sia il guerrilla marketing è abbastanza intuitivo: così come nella strategia bellica chi non possiede mezzi importanti non fa la guerra ma la guerriglia, così nel business chi non possiede o non vuole spendere i soldi per maxi campagne pubblicitarie usa l’astuzia e la spregiudicatezza più che il portafogli per supportare i propri prodotti. È una promozione commerciale basata su eventi che fanno notizia e sono rilanciati dai media e dai social più che attraverso costosissimi spot televisivi e annunci pubblicitari sulla stampa.

La guerriglia vince sulla guerra

Non sempre la guerriglia è stata apprezzata e utilizzata. Pensiamo alla strategia usata da Quinto Fabio Massimo (detto “Il Temporeggiatore”) contro Annibale, costituita da piccoli attacchi e ritirate tattiche,  per evitare lo scontro aperto. Un piano che non fu capito dal Senato dell’Urbe e ritenuto un comportamento codardo e disonorevole.

La guerriglia è sempre stata a lungo considerata la “guerra dei poveri”, dei più deboli, di quelli che, non disponendo di eserciti competitivi, si ingegnano a infastidire il nemico con azioni di disturbo. Ma in tante occasioni si è imposta come strategia nei conflitti contro i potenti ed è capitato che sempre più spesso Davide sconfiggesse Golia. Oggi quasi tutte le guerre sono asimmetriche e quando i contendendenti hanno potenziali bellici molto diversi, usano differenti metodi di combattimento. E se il più debole ha dalla sua un’opinione pubblica generale favorevole, questa diventa una vera e propria “quinta colonna”.

Anche nel marketing sono sempre più preferibili le azioni di guerriglia, per una serie di motivi. Analizziamoli:

  • Il guerrilla marketing impone di usare al massimo grado fantasia e intelligenza: bisogna trovare qualcosa di veramente intrigante che interessi realmente la gente
  • L’attività basata su eventi shock è l’ideale per suscitare il passaparola personale e sui social, il vero motore attuale della comunicazione
  • Si investe poco, molto meno che mandando in onda una massiccia campagna pubblicitaria tradizionale
  • I bassi costi fanno sì che, anche quando la reazione a un evento è inferiore alle aspettative, si possa ripartire con un altro tentativo, in cerca di miglior fortuna, non avendo bruciato un grosso budget

Le controindicazioni

Se l’elenco di vantaggi è così lungo, perché il guerrilla marketing non si è imposto prima? La prima risposta è che i social, canale privilegiato di questa modalità di marketing, esistono da relativamente pochi anni. Inoltre, il marketing delle imboscate non è totalmente esente da rischi. Per attirare l’attenzione con le tipiche azioni del guerrilla marketing talvolta bisogna sfiorare il limite della legge, altre volte provocare i concorrenti, che potrebbero irritarsi e contrattaccare molto pesantemente e infine, dato che si tende a scuotere il potenziale consumatore, se non si valutano bene le sue reazioni c’è il pericolo di suscitare sentimenti negativi. Le remore non sono infrequenti, anche perché spesso le grandi aziende sono rette da un management estremamente prudente e conservativo che non ama i salti nel buio. Solo che talvolta è più pericoloso non rischiare e il mercato sempre più spesso premia il coraggio intelligente.

 

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AUTORI

Giornalista freelance iscritto all’albo come pubblicista, esperto di marketing e di comunicazione. Il suo è un percorso particolare.

Laureato in matematica all’Università di Trieste, si è formato in Unilever.

Ha ricoperto posizioni direttive in multinazionali farmaceutiche e successivamente ha lavorato come consulente di direzione e formatore, associato a importanti società di consulenza.

È stato per anni docente nella School di Ec Consulting Italia.