Ormai la marca privata del distributore non è soltanto uno strumento per strutturare la scala dei prezzi. Si propone anche come risorsa con cui ripensare il posizionamento dell’offerta e distinguersi dagli altri concorrenti. L’indicazione arriva da un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Mark Up, la rivista di marketing e retail. Nel servizio viene proposto un aggiornamento sul processo di crescita della private label nel mercato italiano, ormai assestato su un sistema misto (convivenza di marca industriale e del distributore) al pari degli altri mercati europei. A emergere è innanzitutto la dimensione quantitativa del fenomeno: ormai la marca privata vale poco meno di 10 miliardi di euro, un quinto del mercato totale. In alcuni retailer, tuttavia, la private label rappresenta ormai il 25% delle vendite, una percentuale che vuole dire per alcuni segmenti di prodotto un’incidenza anche superiore al 50%.
In tali insegne, la marca del distributore trova spazio sopratuttto come strumento per aprire e chiudere la scala prezzi in un numero crescente di categorie merceologiche. Non a caso, la private label attraversa orizzontalmente l’intero assortimento (91,5% delle categorie) e deve il suo successo non tanto all’espansione dei prodotti quanto alla maggiore rotazione. C’è però anche chi guarda più lontano e vede nella marca privata il perno di strategie assortimentali orientate al riposizionamento e all’originalità dell’intera proposta commerciale. Qualche retailer sta perfino pensando a contratti di esclusiva con le aziende del co-packing, se non addirittura l’ingresso nella proprietà. Ma qui siamo ancora nel futuribile.
Private label, il prezzo non è più l’unica leva
(Visited 31 times, 1 visits today)