Osservatorio Fedeltà: Loyalty e Strategie di crescita, a che punto siamo?

Osservatorio Fedeltà: Loyalty e Strategie di crescita, a che punto siamo?

Al tema “Loyalty e strategie di crescita” è stato dedicato il XXIII Convegno dell’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma.

Ad aprire l’edizione di quest’anno, che si è tenuta a Parma il 19 ottobre, è stata Cristina Ziliani, responsabile dell’Osservatorio, con una lettura dei più attuali fenomeni e trend internazionali che impatteranno il mondo della loyalty e che di cui le aziende dovranno tenere conto nella pianificazione delle proprie strategie.

«Per quanto riguarda i fenomeni socio-demografici, è importante fare luce su un aspetto: nel 2025 la generazione Z costituirà il 25% della forza lavoro mondiale. Si tratta di una generazione che ha già ora abitudini omnicanale. Ma dalle nostre indagini risulta che al momento la maggior parte dei programmi aziendali non sono orientati alla generazione Z, molti non sono proprio orientati a specifiche generazioni».

Un altro trend che avrà sempre più spazio in futuro sono i consumi sostenibili e i comportamenti etici di impresa. Tra gli esempi virtuosi, Ziliani ha citato un programma omnicanale lanciato da Ikea in cui il consumatore con un tool online può farsi stimare il valore del mobile vecchio e, aderendo al programma, riceve metà del valore con un buono spendibile nel negozio.

Nell’attuale situazione economica appare in calo la fiducia dei consumatori: «si tratta di un dato molto in ribasso che si lega all’inflazione e in questo scenario ci sono aziende che hanno già declinato i programmi fedeltà in modo da aiutare i consumatori. Alcuni retail nel Regno Unito hanno per esempio spostato tutta la scontistica sui consumatori che aderiscono al programma fedeltà. Walmart ad esempio ha lanciato una settimana degli sconti in contemporanea al Black Friday di Amazon. Nel mondo farmacia Walgreens ha promosso una campagna che consente di accumulare cashback prima della stagione dei regali e a cui possono accedere non solo le persone che comprano prodotti ma anche chi usufruisce dei servizi, come il controllo pressione o i vaccini».

Un ruolo centrale, tra i fenomeni destinati a impattare il mondo della loyalty, è quello assunto dalle evoluzioni tecnologiche e in particolare dall’intelligenza artificiale: «tutti gli strumenti che i colossi stanno sviluppando possono essere messi al servizio del marketing e della loyalty, in moltissimi ambiti, ad esempio per costruire strategie di personalizzazione o per innovare la customer experience nei vari touchpoint ».

Se nel 2027, sottolinea Ziliani, «l’e-commerce rappresenterà il 41% del fatturato del retail moderno a livello mondiale, c’è un altro trend che si sta affermando ed è quello che viene chiamato re-commerce ovvero la vendita ma anche lo scambio di prodotti usati o rigenerati»

Loyalty: centro di costo o di profitto?

In un futuro che è già un presente sempre più omnicanale, come stanno reagendo le aziende? Ziliani, insieme a Marco Ieva, ricercatore dell’Osservatorio Fedeltà, ha presentato i risultati della ricerca aziende 2023 dell’Osservatorio condotta su oltre 400 questionari: «Dalla nostra indagine è emerso che più del 70% delle aziende BTC ha un programma di loyalty, tra chi non ce l’ha il 38% lo introdurrà a breve. Eppure alla domanda se un programma fedeltà rappresenta un centro di costo o di profitto “circa la metà delle aziende ha risposto che è un centro di costo. Mentre le ricerche internazionali che la maggior parte delle aziende lo indica come centro di profitto».

Uno shift urgente a cui guardare e un argomento che è stato affrontato anche in uno degli “Speed Talk” che hanno riunito esperti e manager a discutere su un tema comune, lo “Speed Talk”: Loyalty: centro di costo o centro di profitto? Con Andrea Piccirielli, Business Solution Manager di Comarch; Marco Metti, Business Development Manager di dunnhumby e Javi Fernandez, Co-Founder e CTO di Loyal Guru

«Dall’osservatorio dunhumby è assolutamente un centro di profitto» ha detto Marco Metti: «bisogna misurare di più e meglio, utilizzare bene i dati nei programmi fedeltà. Come facciamo i prezzi e gli assortimenti se non lo chiediamo ai clienti? Ma l’unico modo per cambiare la visione “da centro di costo a profitto” è avere i vertici aziendali che credono nel fatto che sia un centro profitto».

Nello speed talk “Le metriche della loyalty dal business digitale al business fisico” Massimo Baggi, direttore marketing del gruppo Selex e Pietro De Nardis, angel investor, hanno sottolineato: «la ricerca dell’Osservatorio Fedeltà ci dice che il 95% dei dipendenti è coinvolto nei programmi fedeltà ma solo il 3% ha una formazione specifica e questo accade perché il personale ancora è visto come un costo».

Concorda Flavio Furbatto, Founder e CEO di Advice Group che è intervenuto nello speed talk “Il ruolo delle persone nella customer experience” «Il 50% delle aziende considera i programmi fedeltà un costo, solo il 3% coinvolge i dipendenti con una formazione mirata. Ma non si può costruire una strategia di loyalty efficace se non si coinvolgono tutte le aree dell’azienda».

Marcello Genovese, Marketing Project Manager di E-Fidelity ha parlato della loyalty nel mondo farmacia: «per noi che lavoriamo nella loyalty della farmacia il fattore umano è centrale. La fidelizzazione si genera nel momento in cui il cliente al bancone accetta i consigli del farmacista, non solo su salute ma anche su benessere. Ma è indispensabile coinvolgere il personale che si interfaccia ogni giorno con i clienti pazienti, ci vogliono strumenti che aiutino a dialogare, a riconoscere i clienti e i loro bisogni. Spesso manca la formazione del dipendente che è a contatto con il cliente al banco, l’ultimo metro che invece è centrale».

Capire (e gestire) i paradossi della customer experience

«Tutte le aziende parlano di customer experience quindi ti aspetteresti risultati strabilianti. Ma quello che invece ci dicono i dati è che la customer satisfaction in 20 anni non è migliorata: la verità è che le aziende non riescono a risolvere i problemi dei clienti a sufficienza, 8 su 10 clienti non si dichiarano soddisfatti»

Dei “paradossi della Customer Experience” ha parlato Yves Van Vaerenbergh, docente alla KU University di Leuven: «Qual è dunque la spiegazione del paradosso della customer experience?  Posso riassumerlo in un’unica frase: “You can’t teach an old dog a new trick”. Significa che le aziende non sono pronte. Perché sono ancora troppo ossessionate dai costi e dall’efficienza ma di fatto non hanno ancora sviluppato processi realmente efficienti. Faccio un esempio di un servizio che apparentemente potrebbe rappresentare un costo ma che invece si sta rivelando un’ottima idea: una brand di grocery ha recentemente introdotto nei suoi punti vendita una cassa dove le persone possono parlare con la cassiera tutto il tempo che desiderano per combattere la solitudine.

Conclude Vaerenbergh: «Le aziende sono troppo focalizzate su processi “frictionless” ma le ricerche dimostrano che per un cliente non è un problema un’attesa al telefono con un customer care se il problema viene risolto, ovvero se “il viaggio finisce bene”. Non ci sono soluzioni magiche ma esistono degli step indispensabili per avere successo nella customer experience, primo fra tutti essere alla ricerca costante di feedback delle proprie azioni e raccogliere osservazioni dalla prospettiva del cliente. Tutti i dipendenti devono essere coinvolti perché una vera trasformazione in un’organizzazione si realizza solo se non se ne occupa unicamente il reparto dedicato, ovvero il marketing, ma a vari livelli tutte le funzioni, come dimostra il caso della cassiera del brand di grocery».

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