Solari: la tendenza ecosostenibile premia le formule che sono (anche) “Ocean friendly”

Solari: la tendenza ecosostenibile premia le formule che sono (anche) “Ocean friendly”

Se c’è una categoria di prodotti capaci di monopolizzare un’attenzione bipartisan, sia delle aziende cosmetiche sia dei consumatori, questa è quella dei solari.

Un po’ per “vocazione”, nel senso che essendo cosmetici indispensabili per proteggere la pelle esposta al sole si configurano come una sorta di medical device (come, tra l’altro, sono propriamente classificati negli Stati Uniti). Un po’ perché il “panorama” dei solari si è trasformato in una specie di paradiso sempre più specializzato e mirato ai desideri e bisogni individuali, tra formule antiage o specificatamente studiate per le varie problematiche della pelle, per esempio l’acne, la vitiligine, la psoriasi o la couperose. Ma, soprattutto, sull’onda dell’attitudine clean ed ecosostenibile sempre più diffusa, molti solari oggi contemplano un’altra competenza fondamentale: sono rispettosi non solo della pelle, ma anche dell’habitat marino. Tanto che molti prodotti, accanto alle certificazioni bio e ad altre dichiarazioni, come “ecodermocompatibile” o “vegan friendly”, riportano dei claim che ne attestano il basso o nullo impatto sull’ambiente acquatico, come Ocean Friendly o gli analoghi Ocean safe o Reef safe sunscreens, che indicano la conformità al trattato dell’Hawaii Reef Bill, confermando formule depurate da tutte quelle sostanze che possono danneggiare l’habitat marino. «Per definirsi di ottima qualità, e invogliare di conseguenza all’acquisto, oggi i solari devono abbinare alla capacità schermante e alla buona sensorialità un profilo “etico” ed ecosostenibile. Che significa, in primis, non contenere sostanze non biodegradabili o che possano essere tossiche per i coralli e per gli organismi fitoplanctonici e zooplanctonici. Non a caso, sempre più aziende cosmetiche stanno unendo le forze con esperti internazionali di ecologia marina ed ecotossicologia per approntare test innovativi, che confermino l’impatto vicino allo zero delle formule. L’obiettivo è interrompere quel loop che vede disperdersi le diverse sostanze controverse ancora contenute nelle circa 14 mila tonnellate di creme solari che si riversano ogni anno nei mari», spiega a Pharmaretail Pucci Romano, specialista in Dermatologia, presidente Skineco (Associazione Internazionale di Ecodermatologia).

Il profilo del solare amico degli oceani.

Ma qual è l’identikit del solare “Ocean friendly”? «Include blend di filtri fotostabili da chimica buona, come il mexoryl e il tinosorb, e di filtri fisici, ovvero ossido di zinco, schermo ideale dei raggi UVA, i maggiori responsabili dell’aging e di altri danni biologici permanenti e cumulativie biossido di titanio, che protegge dagli UVB, responsabili dei danni del sole più evidenti, come scottature ed eritemi. I filtri fisici, infatti, sono gli unici che sono stati assolti sotto il profilo della protezione dei mari e dei coralli anche dall’autorevole FDA americana. È ammessa anche l’eventuale micronizzazione, che riduce significativamente l’antiestetico effetto patina bianca», dice l’esperta. Dubbi, invece, vengono sollevati da parte della comunità scientifica quando queste molecole sono ridotte in nano particelle (i “nano-filtri” sono indicati nell’INCI, per esempio, con zinco-nano). «Le nanotecnologie in cosmetica, e nei filtri solari fisici in particolare, sono ancora “osservate speciali” perché le loro dimensioni ridotte, inferiori ai 100 nanometri in su, potrebbero favorirne la penetrazione attraverso la barriera cornea, rendendo così impossibile sapere dove vanno a finire nell’organismo e che cosa possono provocare», dice Romano. Ma una caratteristica fondamentale del solare “amico dell’ambiente” è quella di non contenere filtri chimici di vecchia generazione, come avobenzone, oxybenzone, octocrylene, benzofenone, octyl-methoxycinnamate, sospettati di essere dei disturbatori endocrini, potenzialmente capaci d’interferire con alcune attività ormonali dell’organismo e ritenuti nocivi per l’ecosistema marino. Di più: una formula solare amica del mare e della pelle non deve includere anche altre sostanze sicuramente ancora permesse, ma critiche se non usiamo il principio di precauzione, come alcuni emulsionanti non dermocompatibili, che possono irritare la cute con la mediazione dei raggi solari (sono riportati nell’INCI con suffisso PEG, Eth e Oxynol), così come i parabeni, conservanti sospettati di essere perturbatori endocrini. «Un solare ecofriendly di conseguenza dovrebbe contenere dei conservanti alternativi, come acido benzoico, sodio benzoato, acido sorbico e i suoi sali, patassio sorbato e sodio sorbato. Inoltre, dovrebbe escludere i petrolati, che sono tendenzialmente occlusivi, comedogenici e non biodegradabili. L’alternativa in questo caso sono i grassi di estrazione vegetale, come i burri di karitè e altri oli vegetali, o da green chemistry, chimica verde, come colesterolo, squalene, trigliceridi», dice l’esperta. Per quanto riguarda i siliconi, hanno il plus di assicurare una buona texture e permettono ai filtri di rimanere, correttamente ed efficacemente, sulla superficie della pelle. «I solari certificati bio non contengono queste e le altre molecole controverse citate, inclusi filtri chimici e parabeni. Comunque, quando i siliconi, come Ciclopentasiloxane, Silanol, Polysilicones, Dimethicon, sono in fondo alla formula dell’INCI, quindi in basse percentuali (sotto l’1%), generalmente non creano alcun problema alla pelle. Certo, non sono il massimo per l’ambiente, perché non sono biodegradabili», osserva ancora la dermatologa Pucci Romano, che ricorda come un’altra peculiarità del solare rispettoso dell’ambiente sia l’essere “water resistant”, perché oltre a rimanere più a lungo nella pelle, a garanzia di una migliore protezione dai danni da UV, si disperde meno in acqua.

Il principio vincente del zero waste.

Un capitolo estremamente spinoso, e il più lampante quando si parla di ecosostenibilità e di inquinamento marino, è quello relativo alla plastica. «Riguardo alle formule, occorre ricordare che le microplastiche sono state bandite a norma di legge solo negli scrub e nei detergenti a risciacquo, quindi possono essere ancora presenti nelle linee solari, così come nei make up e negli altri cosmetici non a risciacquo. Scegliendo una linea solare bio certificata secondo standard internazionalmente riconosciuti, si può essere ragionevolmente certi che non siano presenti. Per gli altri prodotti vale il consiglio di controllare le etichette, dove le microplastiche possono comparire, per esempio, sotto le diciture Polyethylene (PE), Polymethyl methacrylate (PMMA), Nylon, Polyethylene terephthalate (PET), Polypropylene (PP)», osserva Romano. Ma, ovviamente, per un prodotto cosmetico, e soprattutto per un solare “sea friendly”, rinunciare alla plastica significa anche essere racchiuso in un pack good for Planet, per esempio ottenuto da bioplastiche derivate da materiali organici, come mais, riso, scarti del legno, oppure da plastiche riciclate e riciclabili, meglio se arrivano da un percorso ultra-virtuoso essendo state raccolte lungo le spiagge o negli oceani.

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