I lavoratori non si accontentano più, cresce ancora il fenomeno delle Grandi Dimissioni

I lavoratori non si accontentano più, cresce ancora il fenomeno delle Grandi Dimissioni

“Siamo sicuri di voler continuare a fare la stessa cosa, agli stessi orari, per tutta la vita, visto che, come ci ricorda il Covid, la vita è una sola e il tempo fugge via?”

Sembra proprio che gli italiani non ne siano più per niente sicuri.

Di “Great Resignation” (Grandi Dimissioni), ovvero dell’aumento delle persone che si licenziano dalla propria azienda in cerca di condizioni migliori di lavoro, avevamo parlato in un articolo già a giugno dello scorso anno.

Una tendenza in atto da tempo negli Stati Uniti e sempre più diffusa anche in Italia ma che ora ha raggiunto numeri allarmanti. Se già nel 2021 il tasso di dimissioni (il numero di dimessi sul totale dei lavoratori dipendenti) aveva superato il 3 per cento nel quarto trimestre, i numeri forniti negli ultimi giorni dal ministero del Lavoro ci raccontano l’ampiezza del fenomeno.

Le dimissioni registrate in Italia nei primi mesi del 2022, infatti, è pari a 1,66 milioni, in aumento di 22% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Il fenomeno delle dimissioni cresce e riguarda sia gli uomini sia le donne, ma per queste ultime diventa prevalente. A spingere le dimissioni volontarie potrebbe esser stato certamente il maggior dinamismo del mercato del lavoro, che ha creato maggiore mobilità e opportunità per chi vuole cambiare lavoro, ma è indubbia la necessità o il desiderio di un diverso equilibrio vita-lavoro a favore della famiglia ed un clima di generale malessere sul posto di lavoro

Perché se le dimissioni volontarie rispondono in molti casi alle esigenze di trovare un posto meglio retribuito, con l’aumento del carico di lavoro e la difficoltà di trovare un equilibrio tra vita privata e occupazione durante i vari lockdown, molti professionisti hanno iniziato considerare non più sostenibile il proprio stile di vita. La pandemia ha finito dunque per mettere sotto riflettori una qualità della vita al di sopra di quella che un lavoro poco gratificante può offrire, indipendentemente dalla remunerazione. naturalmente, ma anche in grado di garantire la flessibilità necessaria per conciliare i tempi lavorativi e delle esigenze famigliari.

La pandemia ha inoltre contribuito ad accrescere il divario tra le esigenze dei baby boomer, al vertice delle aziende, e i millennial e la generazione Z che rivendicano retribuzioni più eque e maggiore attenzione al benessere.

Smart working e orari flessibili sono al giorno d’oggi opzioni più desiderate delle opportunità di carriera

ll rapporto 2022 Global Talent Trends di LinkedIn rivela anche che il miglioramento delle competenze e le opportunità di crescita nella loro azienda attuale sono due delle massime priorità per i lavoratori di oggi, che arrivano solo dopo la retribuzione, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la flessibilità.

Nel 2023, secondo questo approfondimento realizzato da LinkedIn, l’ondata di grandi dimissioni, che è costata molto in termini economici e non può essere sostenibile a lungo termine, si trasformerà in maggiore attenzione nei confronti del talento: l’obiettivo sarà trattenerlo e farlo crescere, non spingerlo a volare via

Perché le Grandi Dimissioni in atto spianano la strada a quella che è stata definita una “Recessione dei talenti”. Le aziende e le piccole imprese rischiano di perdere i migliori se non si adattano ai cambiamenti che il nuovo anno sta già anticipando. C’è stato un “prima” e un “dopo” il Covid, ma la ripresa post pandemica, la spinta inflazionistica e le nuove esigenze di mercato apriranno la strada nel 2023 ad altri mutamenti. Non farsi trovare impreparati, quindi, può fare la differenza, e saper investire in strumenti in grado di ottimizzare le risorse a disposizione sarà fondamentale più che mai.

Anche le aziende e le organizzazioni più piccole dovranno pertanto imparare ad adattarsi per soddisfare le mutevoli aspettative dei dipendenti sulla scia della “nuova normalità” post-pandemia.

Tutte le ricerche condotte in questi ultimi anni suggeriscono che la flessibilità porta a una maggiore felicità dei lavoratori e, di conseguenza, ad una maggiore produttività.

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