Un terzo degli italiani rinuncia alle prestazioni sanitarie secondo il rapporto Eurispes-Enpam. Dove la farmacia può fare la differenza

Un terzo degli italiani rinuncia alle prestazioni sanitarie secondo il rapporto Eurispes-Enpam. Dove la farmacia può fare la differenza

Un sistema sanitario sempre più in affanno, anche nel post pandemia. A confermarlo i dati del recente Rapporto “Termometro della Salute”, promosso dall’Osservatorio Salute, Legalità e Previdenza Eurispes-Enpam. Secondo il rapporto, un quarto delle famiglie italiane denuncia difficoltà economiche relativamente alle prestazioni sanitarie: nel 2022 lo hanno riportato soprattutto i cittadini delle regioni meridionali (28,5%) e delle Isole (30,5%). Un terzo dei cittadini (33,3%) afferma di aver dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie per indisponibilità delle strutture sanitarie e liste di attesa. Nel 2023 si conferma l’andamento negativo.

Mandelli: serve rafforzare la sanità di prossimità

L’indagine si propone, a quasi cinque anni dalla sua prima uscita, di interpretare e restituire una immagine complessiva della realtà e delle prospettive del Ssn: la ricerca si è occupata «di ciò che l’impatto del Covid-19 ha generato nella percezione del Sistema sanitario nazionale e sulla sua programmazione nel dopo-Covid», ha sottolineato Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes.

Dall’indagine emergono dati molto preoccupanti rispetto alla capacità del sistema sanitario di far fronte ai bisogni di salute degli italiani: secondo Andrea Mandelli, (presidente Fofi), «rafforzare la sanità di prossimità, di cui i farmacisti rappresentano il primo punto di accesso sul territorio, risponde all’esigenza di garantire un servizio di facile accesso e fruibile ai pazienti, che può contribuire a contrastare il drammatico fenomeno della rinuncia alle cure». Inoltre, «la Farmacia dei servizi è in grado di rispondere in modo adeguato all’esigenza di prossimità delle cure, soprattutto per una popolazione che invecchia e che ha bisogno di un monitoraggio costante delle condizioni di salute e dell’aderenza terapeutica. L’esperienza pandemica ci ha insegnato che abbiamo bisogno di alleggerire il carico sui Pronto Soccorso e sugli ospedali. I farmacisti sono artefici di questa evoluzione e della creazione di una sanità più vicina ai cittadini, operando in stretta sinergia con i medici di medicina generale e gli altri professionisti della rete di assistenza sul territorio, come previsto dal Dm 77». Ma non solo, Mandelli sottolinea anche che «grazie alla telemedicina, i farmacisti possono favorire un accesso capillare all’assistenza sanitaria anche nei contesti più difficili, migliorare e rendere più efficiente la presa in carico dei pazienti cronici. Per questo, dobbiamo lavorare tutti insieme – professionisti, politica e istituzioni – per rafforzare l’assistenza di prossimità e proseguire nel percorso di sburocratizzazione in atto, per poterci dedicare al cuore della nostra professione: la promozione della salute e l’assistenza quotidiana ai pazienti»

Dal rapporto emerge che per almeno quindici anni il Fondo sanitario nazionale ha subìto successive decurtazioni nello spirito delle spending review avanzate per assestare i conti pubblici. Nel 2019 la quota del Pil riservata alla Sanità era scesa al 6,2%, alla quale i cittadini aggiungevano un 2,2% di spesa diretta. Dati che sono in linea con la media europea (rispettivamente del 6,4% e 2,2%), ma differiscono con Germania che ha 9,9% e 1,7%, la Francia 9,4% e 1,8%, e la Svezia 9,3% e 1,6%. Questo significa che l’investimento pubblico in sanità in Germania e in Francia è di più di un terzo superiore a quello italiano.

In un decennio sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro alla sanità pubblica, di cui circa 25 miliardi nel periodo 2010-2015, in conseguenza di tagli previsti da varie manovre finanziarie e oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019, in conseguenza del “definanziamento” che, per obiettivi di finanza pubblica, ha assegnato al Ssn meno risorse rispetto ai livelli programmati.

A questo si aggiunge l’intensificarsi della mobilità sanitaria, generato dalla necessità di rivolgersi a strutture pubbliche di altre Regioni per ottenere prestazioni del Ssn di fatto non erogabili nel territorio di residenza a causa dei deficit: quasi 1,5 milioni di cittadini nel 2018 per curarsi hanno dovuto spostarsi dalla regione di residenza.

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