Equivalenti: gli italiani sono ancora convinti che il “branded” sia più efficace

Equivalenti: gli italiani sono ancora convinti che il “branded” sia più efficace

L’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso, pari al 39,6%, rispetto ad altri paesi come Gran Bretagna (53,2%), Germania (45,7%), Francia (45,5%), Spagna (42,3%) e anche rispetto ai farmaci di marca: le ragioni di questi numeri sono state analizzate in occasione del webinar “Farmaci Equivalenti opportunità clinica ed economica: come proporli in maniera corretta”, realizzato da Motore Sanità grazie al contributo incondizionato di Teva.

Serve sinergia tra medico, farmacista e paziente

La compartecipazione alla spesa sostenuta dai cittadini (ticket sulla farmaceutica) oggi in Italia ammonta a 1,6 miliardi di euro (15,8% della spesa farmaceutica convenzionata) di cui il 70% è data dalla differenza di prezzo tra il medicinale a brevetto scaduto branded prescritto e il prezzo di riferimento definito dalle liste di trasparenza Aifa, con un valore di spesa pari a 1 miliardo 126 milioni di euro, in crescita del + 7,2% rispetto all’anno precedente. La stessa compartecipazione alla spesa, purtroppo, è anche un freno all’aderenza alle terapie da parte del cittadino.

«Le farmacie, fin dal 2001, hanno dato un contributo notevole alla conoscenza e alla diffusione dei farmaci equivalenti, fornendo quotidianamente ai cittadini informazioni utili a fugare dubbi sulla loro sicurezza ed efficacia», ha spiegato Marco Cossolo, presidente di Federfarma. «Purtroppo, talvolta registriamo ancora resistenze di carattere culturale: alcuni cittadini sono convinti che il prodotto di marca sia più efficace. Per sfatare simili pregiudizi è necessario che tutti gli operatori sanitari operino in sinergia e diffondano un messaggio univoco, mettendo il paziente al centro di un processo di crescita culturale, basato su un flusso di comunicazione coerente».

I farmaci equivalenti rappresentano uno strumento che permette di ottimizzare la spesa farmaceutica non tanto bloccando i consumi, imponendo sconti o tagliando i prezzi, ma mirando ad aumentare l’efficienza del sistema, cioè a dare più salute a parità di risorse spese, attraverso il ripristino della concorrenzialità e stimolando la price competition dei produttori. «Ma c’è un aspetto da considerare», ha spiegato Giorgio Colombo, direttore scientifico Cefat (Centro di Economia e valutazione del Farmaco e delle tecnologie sanitarie), Università degli Studi di Pavia. «Un miliardo 126 milioni di euro è il valore del ticket che i cittadini pagano per avere un farmaco generico branded, mentre un farmaco equivalente sarebbe offerto a un prezzo gratuito dallo Stato, ma questo i cittadini non lo sanno. Il semplice stimolo dal lato dell’offerta non è sempre sufficiente a permettere una buona diffusione del farmaco equivalente, solo le nazioni che hanno seguito una politica riguardante anche il lato della domanda (paziente e medico prescrittore) sono riuscite ad aumentare la cultura a favore del farmaco equivalente puro e di incrementare la vendita di farmaci equivalenti».

Secondo Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto e vice presidente del Bureau del Comitato Europeo delle Regioni (CdR), il tema dei farmaci equivalenti è strategico per l’intero mondo della sanità non solo europea, anche se l’Europa in questo può essere il motore di una svolta epocale: «Sappiamo che in Europa esiste una disparità incredibile nel consumo dei farmaci equivalenti. L’’Italia si trova negli ultimi posti della classifica, dominata da Olanda, Germania, Regno Unito, Francia, anche se paradossalmente il 90% dei nostri connazionali, contro una media Europea del 63%, conosce perfettamente i farmaci equivalenti. Nonostante questa conoscenza, anche all’interno della nostra nazione registriamo comportamenti profondamente diversi rispetto tra le macroaree geografiche: quelle del Nord vantano un maggior consumo di farmaci equivalenti rispetto al Centro-Sud».

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