FarmacistaPiù 2024, il futuro della farmacia è nell’innovazione

FarmacistaPiù 2024, il futuro della farmacia è nell’innovazione

«Sono state ventuno associazioni coinvolte, 180 i relatori, 38 i convegni sui temi di maggiore attualità, dalla ricerca alla dimensione istituzionale all’evoluzione della professione. Possiamo chiudere l’edizione 2024 di FarmacistaPiù con una considerazione, pur senza enfasi: i farmacisti sono utili al Paese, concorrono a proteggere il nostro Servizio sanitario nazionale e contribuiscono alla salute pubblica». Questa la sintesi finale di Luigi D’Ambrosio Lettieri, presidente della Fondazione Cannavò e del comitato scientifico di FarmacistaPiù, la cui undicesima edizione si è tenuta nei giorni scorsi, in versione phygital.

L’innovazione in sanità e in farmacia

Al convegno inaugurale che si è tenuto a Roma in presenza ed è stato dedicato all’evoluzione tecnologica a supporto della sanità e sul ruolo dell’innovazione in farmacia, ha partecipato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per l’innovazione Alessio Butti. Butti, nel suo intervento, ha riconosciuto il ruolo storico delle farmacie nel rapporto diretto con il cittadino: «Il Dossier farmaceutico è parte integrante del Fascicolo sanitario elettronico, strumento fondamentale per una medicina personalizzata. Sono convinto che Cup e Fse possano trovare una ulteriore integrazione, così come il monitoraggio cronicità da parte dei farmacisti sarà sempre più importante. Se si parla di innovazione la logistica del farmaco è già all’avanguardia e, in particolare, le farmacie si avvalgono da tempo di strumenti digitali come la telemedicina».

Un tema cruciale resta quello dell’implementazione del Fse, sulla quale, tra l’altro, il Pnrr investe ingenti risorse. Permane, fa notare Butti, una notevole disomogeneità tra Regione e Regione: «Manca prima di tutto l’interoperabilità. Da parte sua il governo ha varato nel settembre 2023 un decreto ministeriale finalizzato a standardizzare le procedure regionali in tema di Fascicolo sanitario elettronico ed è quasi in fase conclusiva la redazione di un altro decreto che invece partirà dal presupposto che alcuni dati sanitari  possano rimanere sul territorio nel quale sono stato generati, ma altri dovranno confluire in un repository centrale il cui controllo spetta al ministero della Salute». Sollecitato sulle prospettive dell’intelligenza artificiale Butti conclude mettendone in luce le enormi potenzialità nell’accelerare le attività di ricerca sui farmaci, antibiotici in primis, anche se «l’aspetto tecnologico, anche in questo campo, non deve mai prevale sul fattore umano».

Ad ampio raggio l’excursus di Mariano Corso – ordinario di Leadership & Innovation al Politecnico di Milano, responsabile Scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale – sullo “stato di salute” della sanità in Italia. «Il nostro è un Paese anziano», spiega Corso, «e ha problemi di finanza pubblica. Esiste quindi «un gap notevole tra risorse disponibili e domanda sanitaria. Il rapporto spesa sanitaria/Pil è sotto la media Ocse e in più ci sono annualmente  45 miliardi di spesa out of pocket, a carico completamente del cittadino. Altre criticità sono la frammentazione regionale e la carenza strutturale del personale sanitario, in particolare di quello infermieristico, nettamente inferiore, in rapporto ai mille abitanti, rispetto a quello operante in Francia e Germania». Quali rimedi allora? «La risposta possibile è l’innovazione digitale, occorre ripensare la struttura del Ssn attraverso la tecnologia. L’obiettivo finale è la connected care, un ecosistema della salute disegnato attorno al cittadino, cui partecipino tutti gli operatori della sanità. Fattori salienti la prevenzione, gli stili di vita, l’accesso appropriato ai servizi di cura, la telemedicina, l’intelligenza artificiale. L’innovazione non può essere solo tecnologica, ma anche organizzativa e normativa». Gli investimenti in sanità digitale, fa notare Corso, sono ancora limitati, benché in crescita nel 2023, ma soprattutto «mancano competenze e cultura digitale, nelle organizzazioni come nei singoli cittadini. C’è un pesante rischio di digital divide: solo il 18% degli over 64 è in grado di interpretare il dato inerente alla propria salute. E qui i farmacisti possono avere un ruolo fondamentale nel contribuire a colmare questo divario digitale, grazie alla predilezione che da sempre i cittadini manifestano verso la farmacia come luogo fisico di prossimità, dove ricevere determinati servizi di cura».

«I farmacisti sono davvero da considerare pionieri di innovazione», sottolinea D’Ambrosio Lettieri. «Pensiamo a tutti i servizi di carattere digitale erogati, alla robotica applicata alla logistica della farmacia, al Cup più vicino al cittadino di quello praticato dalle Asl. E ora nella didattica dei corsi laurea in Farmacia è prevista la disciplina della “Informatica in sanità”. Quello che però va intensificato è il dialogo con le istituzioni regionali e nazionali. Di Fse e Dossier farmaceutico si parla dal 2013, troppo tempo è passato, i processi di evoluzione tecnologica dei sistemi sono velocissimi e non possiamo sempre inseguirli».

Il presidente di Utifar Eugenio Leopardi da parte sua ricorda che «fu per prima Federfarma Lazio a forzare la mano, in tempi di pandemia, perché si potessero praticare i tamponi in farmacia. E che furono ben novemila i farmacisti a seguire un corso Utifar sul farmacista vaccinatore quando ancora la normativa non consentiva tale attività». In futuro la professione di farmacista richiederà sempre maggiori competenze, di qui la necessità di una formazione di qualità e sempre in linea con i cambiamenti in atto.

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